Profumo di cera

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Vi capita mai di veder affiorare nella vostra mente le immagini di un posto, come se si aprissero per un istante le nebbie del passato? Avete mai avuto la certezza di aver già visto quella casa, quel paese, quel pezzo di bosco pur sapendo che è la prima volta che ci mettete piede?
Ecco, a me capita. Da un po’ di tempo basta poco per far riaffiorare alla mente musiche, profumi, ricordi ed emozioni che non mi appartengono, ma si comportano come se fossero miei.
Sto forse impazzendo? Non credo, ma ho deciso di andare a fondo di questa storia.
Vi terrò informati amici di scrittura.

A presto
LuLu

Lucia chiude lo schermo del portatile e la stanza piomba in una penombra pacata e rincuorante.
A volte quella finestra sul mondo è una porta che le permette di fuggire dalla realtà, altre volte è un portone da cui è il mondo ad invadere la sua vita.

All’alba dei sessantanni si è decisa ad aprire un blog e nell’arco di pochi mesi sono tanti coloro che la seguono.
La magra figura si alza e appoggia le mani scarne sul vecchio scrittoio che ha raccolto pensieri vergati con lo stilo e riflessioni digitate sulla tastiera, nell’arco di un lungo e onorato servizio nello studio di casa Cischeri.

Il vecchio palazzotto della “città bene” si adagia lungo la via dello shopping costoso e dei ristoranti stellati. Prima ancora ha visto passare le prime vetture della borghesia e le ultime carrozze di una nobilita che si è sempre rifiutata di definirsi decaduta.
Ne avrebbe di aneddoti da raccontare! Lucia è la decima generazione di famiglia ad abitare una casa che protegge la stirpe come le radici di una possente quercia proteggono il nido delle lepri che la donna osserva al tramonto nelle estati in montagna.

Lucia in quella casa è nata e lì si è sposata, prima ancora di lei il padre, la nonna, il bisnonno, il trisavolo e indietro fino alla sorgente alto-borghese di una famiglia che di storia ne ha da vendere.
Da piccola amava correre e scivolare sul parquet liscio e scuro. Dopo ogni scivolata saliva un profumo di cera che per anni ha risvegliato i ricordi di piovosi pomeriggi infantili passati a fare lo slalom tra le sedie inseguendo Godot, il magnifico e altero persiano di nonna Teresa.

Da ragazzina si incantava dietro la porta chiusa del salone ad ascoltare le melodie che Alberto, fratello maggiore, riusciva a tirare fuori dal pianoforte. Ogni volta che, nei lunghi viaggi di lavoro in giro per il mondo, sentiva le prime note di Per Elisa la mente tornava a quella porta chiusa e a quel mondo incantato che lei sfiorava appena.

Da giovane donna si è sentita spesso imprigionata dagli alti soffitti del primo piano, dalle lunghe vie della città, sempre uguale a sé stessa per chi non vuole cogliere le differenze, e dalle aspettative di due genitori più amanti che amabili.

Così è partita.
L’università a Londra, la specializzazione a Sidney e poi il lavoro a New York. Per dodici anni è stata lontana da casa, ma la mente, volente o nolente, spesso tornava ad appoggiarsi alle mensole delle ampie finestre e ad accarezzare il muro un po’ scrostato vicino all’ingresso.
Per dodici anni non ha mai rimesso piede nella sua città, ma poi mamma è morta.

Tempo del funerale e anche papà non ha resistito al dolore e, come un faggio colpito da un fulmine, si è accasciato di schianto: stroncato da un infarto.

Molti mesi per riprendersi e pochi giorni per innamorarsi. Mattia è entrato nella sua vita di sorpresa. Un incontro fortuito suggellato da un sorriso nascosto dietro alla schiuma di un cappuccino. Una frequentazione breve e fin troppo intensa e un matrimonio d’amore impetuoso che negli anni si è trasformato in calmo, ma profondo affetto.

L’undicesima generazione sta ormai per spiccare il volo dal vecchio palazzotto e Lucia ha deciso di dover tornare ad occupare le sue giornate con altro che non siano le cene per un marito amato, ma impegnato, e le opere di pia carità che ci si aspetta da una signora del suo rango.

Così è nato il blog Radici di vita con storie, racconti, ricette, idee e tutta l’esperienza di una donna che ha imparato tanto e condiviso, per ora, troppo poco.
Questa la motivazione ufficiale.

Il reale e impellente bisogno di Lucia è stato volutamente e tenacemente tenuto nascosto. Prima sono successe piccole cose. Le chiavi dimenticate chissà dove. La macchina non più ritrovata all’autosilo, tanto da dover chiedere l’aiuto del custode. Un appuntamento dal parrucchiere saltato. Poi è stata la volta delle ore scambiate sul quadrante dell’orologio e dei vuoti di memoria di anni. E poi: siamo arrivati ad oggi.

Per ora sembra che non se ne sia accorto nessuno. Il marito la trova sbadata, ma poco male. I figli sono più fuori casa che dentro la famiglia e le amiche hanno sempre parlato troppo e ascoltato troppo poco per rendersi conto delle debolezze che Lucia si ostina a nascondere.

La vita quotidiana scorre giorno dopo giorno, apparentemente lenta e placida come il grande fiume che attraversa la città.
La signora si alza, si sistema i capelli nella perfetta piega a morbide onde che incorniciano il viso, si trucca leggermente e scende a fare colazione. Non si ricorda il suo nome questa mattina, ma sa di essere una donna stimata e amata, che vive – chissà poi da quanto tempo – in una bella casa che le sembra famigliare.

La voce di Mattia riporta tutto alla luce: “ Lucia mi stai ascoltando sì o no?”
La donna si riscuote dalle nebbie di una memoria confusa e cerca in fondo alla gola parole semplici, ma che paiono ingarbugliate e timide al punto da non voler uscire.
Con enorme fatica ed un lento sospiro Lucia ritrova la padronanza di sé: “Scusami tesoro, ho dormito poco bene questa notte e non sono ancora completamente sveglia.”

Una bugia innocua che si posa come un fiocco di neve sulla punta di un iceberg destinato, ahi noi, ad affondare. Mattia incrocia lo sguardo di Filippo, il figlio più piccolo che ancora vive in casa. Si capiscono con un’occhiata e, senza parlare, decidono che è arrivato il momento di affrontare il discorso.

“Mamma, smettila di prenderti in giro da sola. Sappiamo tutti benissimo che qualcosa non va. È da mesi che ti dimentichi le cose, che non ricordi dove hai lasciato gli oggetti, che confondi le date. Abbiamo preso un appuntamento con il Dottor Chiari, il primario di neurologia. Ti ci accompagniamo dopodomani.”

Il dopodomani è arrivato, cari amici di scrittura, e oramai è già diventato ieri.
Alfredo Chiari non ha fatto altro che dare un nome a quanto sospettavo da molto tempo: Alzheimer.
Non c’è cura, lo sapete voi come lo so io. Ho paura, è inutile nasconderlo.
Ho però la speranza di rallentare ancora per qualche mese i sintomi, prima di perdermi in un mare confuso che non mi permetterà di riconoscere più la linea di costa della mia vita.

Al ritorno dalla visita ho pianto. Le lacrime sono scese tra le braccia di mio marito come da anni non succedeva più. È stato un momento tragico e bellissimo, una comunione profonda di anime e di amore.

Mattia mi ha detto di non preoccuparmi, che lui sarà sempre al mio fianco. Servirà a qualcosa? Forse sì, ma arriverà il momento in cui non lo riconoscerò più.

E allora mi chiedo: quelle radici da cui siamo nati e germogliati, che ci hanno fatto crescere e poi spiccare il
volo, fino al ritorno a casa, a cosa serviranno quando non saremo più in grado di identificarci con esse?

Quando non avremo più la certezza che i ricordi e le storie di vita sono le fondamenta su cui costruiamo la nostra intera esistenza?

Per anni la storia della mia famiglia, della mia vita e addirittura di questo palazzotto mi sono sembrate un peso. Ora farei qualsiasi cosa per poterle portare sempre con me, come fa la tartaruga con il suo guscio.


Basta autocommiserarmi adesso. Voglio chiudere questo post con una proposta e una speranza. D’ora in avanti, e per il tempo in cui la memoria mi concederà il suo supporto, vi racconterò aneddoti, curiosità, storie e racconti del mio passato e vi invito a fare lo stesso.


Vorrei creare qui una foresta di radici, le nostre radici, quelle che ci sostengono e, si spera, continueranno a farlo anche quando non ce ne renderemo conto.


Di una cosa sono convinta. Le radici del singolo, unite a quelle di tanti altri, formano il substrato dell’umanità e le storie personali diventano poi la Storia, quella con la esse maiuscola, quella che si studia a scuola, troppo spesso in maniera sterile e disincantata, come se non ne facessimo parte.


Domani racconterò ancora di me, in attesa di leggere soprattutto di voi.

A tutti l’augurio di nutrire le proprie radici e di rendersi conto dell’importanza che hanno, prima di correre il rischio di perderle.

Al prossimo post, amici di scrittura.
Lulu

Racconto partecipante al concorso “Petrarca.fiv 2018” a tema identità e radici.
Se volete continuare a scavare, alla scoperta delle radici dei protagonisti dei racconti di BluttaBlatta, fate un tuffo nella sezione “memoria” e provate a leggere o ascoltare “I segni del tempo

Una lettura di BluttaBlatta
Suoni: Freesound IamGiorgio, Leo153
Musiche: “Per Elisa” Beethoven

Chi ha scritto questo racconto

BluttaBlatta

"Un marito.
Due gatti.
Tanti libri.
Mille parole.
"
Martina Ravioli