Una storia di famiglia: figlio, uomo, marito

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Una storia di famiglia: figlio, uomo, marito
Illustrazione di Fredi Schafroth

Eccola là.
Appesa nello spogliatoio, la divisa lo aspetta.
Sta per iniziare il turno di notte al pronto soccorso e Luca si prepara, con gesti diventati abitudine nel corso degli anni.

Ha imparato ad ascoltare il cuore con lo stetoscopio prima ancora che a camminare, osservando il padre con il lungo camice bianco. Da piccolo aveva paura, gli sembrava un fantasma, ma crescendo ne ha subito il fascino.

Lo studio di Giuseppe era attaccato alla vecchia casa di paese. Dalle finestrelle del solaio si intravedeva la strada che, arrampicandosi tra ponti e gallerie, percorreva la Leventina, fino a stagliarsi ai piedi di una montagna che, tutt’ora, separa due mondi. A piano terra la cucina era il regno di mamma Carla: due braccia forti per il tanto impastare e un pane fragrante sempre pronto a sfamare marito e figli.

Ogni bambino divenuto uomo ha poi preso il suo posto nel mondo: Luca ha studiato medicina, un modo forse inconsapevole per avvicinarsi ad un padre sempre idolatrato, ma al contempo distante nella sua autoritaria sicurezza che non lasciava spazio al dubbio dell’emozione; Mario, il fratello più piccolo, è diventato professore in Germania e Tiberio, il maggiore, ha preferito le mani alla testa e ora è il fabbro più apprezzato della zona.

“Luca, ti dai una mossa? La sala d’aspetto è piena e come ben sai non va bene!”
Il capoturno, anzi la “capa-turno”, stasera è Ludovica. Con lei non si scherza; forse perché risente di un mondo ancora troppo maschile, forse perché effettivamente ha una marcia in più: quando c’è lei il pronto soccorso lavora come un perfetto ingranaggio e non sono ammessi granelli di sabbia ad inceppare l’oliato movimento delle ruote dentate.

“Sciur Dutúr: la va mia ben, a g’ho un dulúr!”
Rosina si tocca l’anca di metallo. È una presenza costante questa vecchina che soffre il male più grande: la solitudine. In reparto l’hanno eletta a mascotte e non ci provano nemmeno più a mandarla via. In fondo basta poco, due parole gentili, un sorriso del medico di turno e Rosina se ne va da sola, guarita, almeno per qualche ora, dal dolore sordo di essere sola al mondo che le divora cuore e mente come un cancro divora la carne.
“Oh Rosina, cosa si sente questa sera? Sa che sarebbe meglio se restasse a casa vero? Con tutti i malati che ci sono qui.”
Luca abbozza un preoccupato rimprovero a questa donnina che tanto gli ricorda la madre negli ultimi mesi.

Le braccia forti di Carla, quelle che lo stringevano protettive contro al florido petto dove trovava consolazione dalla crudele, seppur inconsapevole, fredda distanza di un padre troppo preso dalla missione di curare gli altri per accorgersi che a soffrire di più erano i suoi, erano diventate fragili per la malattia.

Non ha mai fatto mancare nulla di materiale Giuseppe e sempre ha orgogliosamente spronato il figlio di mezzo a seguire le sue orme e diventare medico. Quello che è mancato, e a cui mamma Carla cercava di rimediare con una dose extra di coccole, è stato il tempo della condivisione, la complicità che ora, invece, sembra aver trovato con il nipote, il piccolo Paolino a cui, da nonno, dedica un amore incondizionato, vicino e forte come Luca mai ha percepito. A volte ne è quasi geloso: un padre che è diventato nonno senza essere papà.

“Ma sciur Dutùr: l’anca, la fa mal!”
La voce acuta di Rosina si intrufola nel flusso di pensieri.
Luca sorride e la interrompe, tastandole il fianco: “Vediamo un po’.”
Vorrebbe dedicarle più tempo, ma i pazienti sono tanti e le urgenze molte: “Metta questa crema e, se non le passa, tra un paio di settimane torni qui.”

Rosina ringrazia prendendo il tubetto di vaselina dalle mani di Luca. Ormai in reparto hanno sempre pronta per lei la miracolosa pomata che male non fa. Al massimo ungerà le lunghe gonne della donna.

Luca guarda l’orologio, ha davanti ancora parecchie ore prima di passare a prendere Roberta e partire alla volta dei monti. Domani è sabato e finalmente, dopo una settimana lunga un secolo, abbraccerà il figlio e saluterà il padre. Avrà forse tempo di parlare e soprattutto ascoltare la moglie che, ultimamente, gli è parsa turbata.

Sbircia in sala d’aspetto: una lunga fila di pazienti lo attende.

Primo racconto di una mini-serie di quattro storie apparsa, durante il lock-down dovuto al Coronavirus, sul settimanale Cooperazione con il titolo di “Una famiglia normale”.
Scarica qui il pdf del racconto con le illustrazioni apparso su Cooperazione del 28.04.2020.

Al link seguente trovi anche la prima puntata della mini-serie dal titolo “Una storia di famiglia: nonno, cane e nipote. Al link seguente trovi anche la seconda puntata della mini-serie dal titolo “Una storia di famiglia: lui, lei e l’altro.

Una lettura di BluttaBlatta
Suoni: Freesound InspectorJ
Musiche incompetech.com: “Montauk Point” di Kevin MacLeod

Chi ha scritto questo racconto

BluttaBlatta

"Un marito.
Due gatti.
Tanti libri.
Mille parole.
"
Martina Ravioli