Filippo

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Filippo platano

Il piccolo Pietro giaceva immobile sul terreno. Testa e corpicino insanguinati lasciavano temere il peggio, concedendo esigua speranza di guarigione completa. L’ambulanza, giunta in men che non si dica, era ripartita a sirene spiegate verso l’ospedale della vicina città, lasciando gli abitanti del piccolo borgo sgomenti ed angosciati. L’autore di quella brutale aggressione, colto sul fatto, stava lì incapace di fuggire. Il possente braccio insanguinato, prova schiacciante della sua colpevolezza, penzolava miseramente attaccato al corpo da un esile brandello. Non c’era modo per lui di sottrarsi all’accerchiamento della folla inferocita.

La minuscola piazza, da sempre punto d’incontro nell’antico paesino, era divenuta teatro di due opposte e agguerrite fazioni. Attorno al vecchio Filippo si erano schierati i più giovincelli, che schiamazzando difendevano a gran voce l’accusato; la controparte, formata da numerosi genitori, parlottava fitto fitto e, gesticolando, lasciava chiaramente trapelare la propria sentenza: pena di morte! «Ma mamma…» Piagnucolava sommessamente Caterina «Tu dici sempre che bisogna offrire a tutti una seconda possibilità. Non dovete farlo, non è giusto!» E così dicendo la bimba si era seduta a terra con un gran tonfo, come a dire “io di qui non mi muovo!”.

Il pomeriggio era trascorso tra battibecchi, accuse, lacrime e musi lunghi. Al centro di tutto lui, il secolare platano Filippo. L’accordo sul da farsi, ben lontano dall’essere raggiunto, era stato posticipato all’indomani e i presenti rincasavano mestamente, con il cuore appesantito dalla mancanza di notizie circa le sorti della giovane vittima. La mattina seguente tutti erano là, riuniti attorno a quello che fino al giorno prima era stato orgoglio, punto d’incontro e parco giochi per le ultime tre generazioni nate tra quelle quattro mura.

Duecento anni addietro un seme portato dal vento aveva attecchito nel fazzoletto di terra al centro della piazza. La mamma di Filippo faceva quasi certamente parte di un magnifico e secolare viale alberato, vanto dei cittadini della sottostante vallata; adattarsi al clima montano non era però stato un problema per il nuovo nato, che ben tollerava i 1500 metri e la temperatura della terra che lo aveva accolto.

Mese dopo mese il ramoscello si era irrobustito e la sua crescita, tanto inaspettata quanto rapida, aveva fatto breccia nel cuore degli abitanti del borgo, gente rude e di poche parole, abituata all’isolamento e ai rigidi inverni del posto. Il dibattito sulle sorti del magnifico albero ferveva da ore senza giungere ad una conclusione, anche perché nel frattempo, tra i sostenitori del suo immediato abbattimento e i difensori a spada tratta, si era formato un eterogeneo gruppo di indecisi.

“All’ombra di Filippo ci abbiamo passato intere estati. Da bambini giocavamo a rincorrerci attorno al tronco e lo usavamo per il nascondino, ricordate?” Raccontava Celestina, con sguardo nostalgico.
“E chi di noi, una volta ragazzo, non si è scambiato un bacio o una promessa d’amore, celato agli sguardi altrui dalla sua folta chioma?” Ricordava Egidio, con occhi sorridenti.
“A noi piace un sacco arrampicarci sopra ai suoi rami!” Esclamavano i bambini “Sono le braccia del nostro gigante!”
“Ecco appunto: braccia grosse, pesanti e non più così robuste…” Interveniva prontamente Lucia, mamma di due gemelli di 5 anni che sotto al grande albero ci passavano giornate intere. “Lo abbiamo visto tutti cosa è accaduto a Pietro. E per fortuna il ramo si è solo spezzato; si fosse staccato di netto, piombando sul bambino lo avrebbe senza dubbio ucciso sul colpo”.

Lo scambio di opinioni si protraeva interminabile e le cause del tragico incidente erano state chiaramente individuate: cambiamenti climatici e totale mancanza di manutenzione, abbinate alla veneranda età. Da anni le stagioni erano impazzite, mesi di siccità si alternavano a violente e prolungate piogge e l’inquinamento era arrivato anche lì, in mezzo alle montagne; tutto ciò aveva ovviamente indebolito il maestoso e vecchio albero.

Filippo, anche se dotato di possenti radici, resistente agli sbalzi di temperatura e alle bizze atmosferiche, aveva pur sempre i suoi duecento e rotti anni e per tutto quel tempo mai nessuno si era preso la briga di accudirlo, controllarlo, potarlo; non pareva necessario! Con i suoi trenta metri d’altezza era divenuto il simbolo del nucleo. Svettava sopra ai tetti di piode salutando da lontano i turisti che arrivavano fin lassù, a volte appositamente per vederlo e fotografarlo. Nessuno stupore che, non avendo mai assaggiato una motosega, Filippo si fosse allargato e allungato a dismisura. Il colpo d’occhio era stupefacente ma bisognava ammettere, specialmente alla luce di ciò che era successo, che di pari passo con la stazza ne era cresciuta anche la pericolosità.

La liscia e maculata corteccia, oltre che recare le iniziali degli innamorati, aveva subito innumerevoli attacchi di parassiti, mai debellati. I grossi rami, che parevano essi stessi trochi di alberi magicamente sospesi nel vuoto, sopportavano da anni gelo, neve e grandine. Le caparbie radici si erano appropriate di ogni centimetro quadrato dello sterrato che fungeva da piazza di giro del paesello, assorbendo fino all’ultima briciola di nutrimento. Tutto considerato c’era solo da sorprendersi che l’infausto incidente non fosse mai capitato prima d’allora.

La mattina del fattaccio però, a tutti questi fattori si era aggiunta anche un’incessante bufera che aveva flagellato il povero Filippo per l’intera nottata, strapazzandone la chioma e torcendone i rami. Il grande platano era stremato e ferito, e nulla aveva potuto per evitare l’inevitabile. Quando l’enorme ramo si era spezzato, andando a colpire il bimbo seduto ai piedi dell’albero, un rumore secco aveva squarciato l’aria. Lo sguardo dei presenti si era immediatamente posato, spaventato ed accusatorio, su Filippo e lui si era sentito morire.

Alle cinque del pomeriggio era ormai chiaro che raggiungere l’unanimità circa il da farsi sarebbe stato impossibile, e dunque non restava altro che propendere per la maggioranza. Ciò significava una sola cosa: abbattimento. I bambini non avevano nemmeno più la forza di piangere e supplicare; i ragazzi avevano esaurito gli argomenti di difesa; i vecchi se ne stavano rassegnati in disparte. Adulti, genitori, politici e forze dell’ordine avevano vinto. L’indomani sarebbe giunta sul posto una squadra di esperti taglialegna forestali.

Filippo, dapprima brutalmente smembrato poi sezionato in pezzi sempre più piccoli, sarebbe infine stato caricato su di un apposito cassone adibito al trasporto di legname e…puff, sparito!
Problema risolto. Ma il telefono di Sofia squillò, proprio al termine della votazione per alzata di mano. La zia del piccolo Pietro rispose tremando per l’ansia, e tutto il paese trattenne il fiato insieme a lei.

“L’operazione è perfettamente riuscita!” Esclamò la donna, terminata la conversazione. “E indovinate un po’ quali sono state le sue prime parole al risveglio…” L’intera piazza pendeva dalle sue labbra. “Ha chiesto come sta Filippo. E ha detto che non vede l’ora di tornare a riabbracciarlo”.
Allo sbalordito silenzio, seguì un’immediata risata liberatoria. L’atmosfera era cambiata in un soffio, poiché la gioia per non aver perso il bambino aveva spazzato via dubbi e domande su cosa e come farlo. Le soluzioni si potevano ben trovare, con impegno, volontà e pazienza.
Filippo sarebbe rimasto, graziato dalla sua stessa piccola vittima.

Racconto partecipante al concorso “Voci di notte 2020″ a cura dell’Associazione Mirò e contenuto nell’antologia del premio “Flora”. Se ti piacciono i racconti di alberi e natura prova a leggere “C’era una volta e c’è ancora“.

Una lettura di Francesca Ravioli
Suoni: Freesound Soundssex citing, Matt Beer, Nachtmahrtv, Urkki69

Chi ha scritto questo racconto

L'ospite: Francesca Ravioli

Classe 1975, moglie orgogliosa di Gio e mamma felice di Nicolò.
Ha una maturità conseguita al liceo linguistico, e una lunga esperienza nel segretariato medico.
Si rilassa con passeggiate in montagna e giardinaggio.
Si diletta con creazioni manuali di bricolage.
Si diverte nella stesura di racconti e nella lettura ad alta voce.