Gli ingredienti per vivere

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Gli ingredienti per vivere

Mi stiracchio pigramente tra le lenzuola che raccolgono l’umidità di una notte di sonno agitato. I muscoli fremono nello svegliarsi e l’allungamento è accompagnato da un sonoro sbadiglio. Il mio piede termina la sua corsa contro qualcosa di caldo e peloso.

Dalla morbidezza del pelo so già che si tratta di Carlo Magno, anche perché Teodolinda, la gatta sorella, è impegnata a spingere la mia mano con il suo muso schiacciato e forte. Un raggio di sole mi colpisce il viso. Dovrò decidermi, prima o poi, ad aggiustare la tapparella che permette al mattino di entrare nei sogni. È da tempo immemore che me lo ripropongo, ma al pensiero ancora non è seguita l’azione. Forse è semplice pigrizia o forse, più semplicemente ancora, è che quella lama di luce all’alba non mi spiace del tutto.

“Baciata dal sole, è un bel modo per svegliarsi!”
Mi volto e cerco il consenso negli occhi di Paolo, marito in dotazione.
“Il sole deve essersi sbagliato, di solito bacia i belli.”
Queste parole sono smorzate da una cuscinata che, morbida, ricade su di un volto ridente
e sarcastico al contempo.

La finestra si apre su di una giornata tersa e ventilata. Oh come adoro l’aria frizzante del mattino, quell’arietta che ricopre le braccia nude di pelle d’oca e che si trasformerà, nelle ore seguenti, in una calda massa soffocante. Non ci voglio pensare però: voglio godere l’attimo e la temperatura.

Zoppicando mi avvio in bagno. Zoppico all’inizio: all’inizio di una giornata, all’inizio di una passeggiata, all’inizio di un percorso. È il mio modo, non scelto in verità, per avviarmi, ma una volta partita non mi ferma più nessuno. La rigidità muscolare lascia il posto, pian piano, ai pensieri della veglia.

Mille “non so”, “non ho voglia”, “non mi va”, “ho paura” si affastellano negli scaffali del mio cervello, pronti a saltar fuori dalle ante semiaperte. Da pochi giorni, però, ho iniziato a lottare per tenere chiusi gli armadi della tristezza, dell’ansia e dell’apatia e per godere del bello e del buono, poco o tanto che sia, che la vita ha da offrirmi. In verità non ho avuto, per ora, grandi risultati e l’ombra la fa ancora da padrone.

Con un gesto rapido e quasi stizzito scaccio i cattivi pensieri da dietro la fronte e un ciuffo di capelli ribelli da davanti agli occhi. Paolo mi dice sempre come gli piacciono i miei capelli, ma io ci credo poco. Forse devo imparare a fidarmi, ad essere felice senza ombra di sospetto ai complimenti altrui.

Un profumo goloso mi attira in cucina. Sul tavolo è posata una pigna di frittelle dall’aspetto invitante. Lotto tra il desiderio di sedermi a tavola e godermi la colazione e l’irrefrenabile voglia di strozzare il cuoco improvvisato che, quando cucina per due, è capace di sporcare e fare disordine come se cucinasse antipasto, primo, secondo e dessert per almeno dieci persone.

Mentre mi guarda, fin troppo consapevole della mia lotta interiore, mi accorgo di pensare all’importanza dei dettagli: la sua scelta della marmellata di fragole che mi piace tanto e i gusci d’uovo e la farina che ricoprono indistintamente tutto lo spazio orizzontale disponibile. Non riesco a decidere a quale dettaglio dare maggiore importanza, ma so per certo quale mi fa arrabbiare e quale mi rende felice. Ma sono solo dettagli per l’appunto.

Carlo Magno interrompe la mia inutile riflessione schizzando come invasato dietro ad una pallina di feltro. Le zampe pelose scivolano sul parquet lucidato e le mie labbra si incurvano in un timido sorriso. Anche Tea sembra guardare il fratello con aria di disapprovazione, ma io mi ritrovo ad invidiare la beata inconsapevolezza e la desiderabile ingenuità che contraddistinguono il quadrupede.

Infondo, il non pensare, non è fonte di beatitudine? Devo aver inconsapevolmente esternato questi pensieri ad alta voce e Paolo, con uno sbuffo di zucchero a velo sul naso, mi guarda in tralice: “Proprio tu parli di non pensare? Ma se fai andare i neuroni dalla mattina alla sera!”

Già, è vero, in fondo pensare mi piace, solo che lo faccio anche troppo. La curiosità è una piantina fragile, che ha bisogno di venir curata e alimentata quotidianamente per crescere sana e forte. Scoprire, imparare, migliorare. Come è bello farsi affascinare da un qualcosa di nuovo.

Mi ricordo ancora quando, casualmente, origliai una conversazione su di un viaggio in Bhutan. Rimasi così colpita da quel paese misterioso, e fino ad allora sconosciuto, che per diversi giorni non feci altro che cercare informazioni e riempire la testa di tutti quelli che mi capitavano a tiro con quanto scoperto.

“Sai, se vincessi alla lotteria, mi piacerebbe riprendere a studiare. Ma senza esami universitari o obblighi. Semplicemente spaziare nell’infinito conoscibile.”
Carlo Magno mi guarda come se capisse. Pigramente steso al sole, assapora la semilibertà data da un piccolo terrazzino con un invidiabile vista sul lago.

Ho appena finito di passare l’aspirapolvere e mi godo cinque minuti di dolce far niente appollaiata sul poggiolo che per tanti anni ho desiderato. Paolo è dovuto correre al lavoro. È spesso così, anche nei suoi giorni liberi, impegni urgenti e impellenti, o più probabilmente solo ritenuti tali, lo richiamano al dovere. Mi sento sola quando succede, ma poi penso che il lavoro è quello che ci dà da mangiare e, cosa forse più importante, lui è fiero e orgoglioso di quello che fa e dell’importanza che il suo ruolo ha. E io? Io spesso mi sento inutile e incompresa, ma su questo punto sto lavorando.

Il trillo del forno mi richiama al presente. La torta ha un aspetto magnifico e succulento. Una vocina nel mio cervello mi dice che non dovrei mangiarla, che i chili di troppo si fanno sentire, che non è sano. Ma tanto già so che non le darò retta, per poi trovarmi, puntualmente, a non piacermi davanti allo specchio. Pazienza, avrò una cosa in più da segnare sulla lista degli obiettivi da raggiungere: imparare ad amarmi e a piacermi.

E già, sembra facile, ma i lunghi anni di prese in giro a scuola, sono ancora un bagaglio pesante. La riflessione prosegue al ritmo dei passi incerti eppure cadenzati. Da lontano scorgo il Francese. Non so come si chiami quest’uomo anziano e dall’accento dolce, ma mi fermo sempre con piacere a fare due chiacchiere con lui. È accompagnato immancabilmente da un cane vecchio e zoppo come il padrone, e come il padrone dotato di due grandi occhi buoni.

Scambiare due parole fa sempre bene all’anima. Fermarsi due minuti e far fluire comprensione ed empatia tra due esseri umani. Due minuti che, ad un occhio distratto, possono sembrare inutili: che tempo strano che fa in questi giorni; ma guarda gli alberi sono già in fiore; sì, il mio cane oggi è un po’ stanco.
Se osservo attentamente, però, noto un raro momento di umana comunione come sempre più spesso mi accade.

Da quando ho deciso di ascoltare gli altri e smetterla di dare spazio al mio malessere, va decisamente meglio. Saluto il Francese e proseguo lungo la strada che conosco ormai sasso dopo sasso. In fondo non mi importa dove vado, è proprio l’atto del camminare che mi piace. Forse anche questo è normale, essere attratti da tutto quello che si fa fatica a fare. Di sicuro se potessi correre, non lo desidererei così tanto. Oggi però ho deciso che devo essere felice di poter camminare, quindi va bene così.

Un grugnito di apprezzamento accompagna il primo boccone di torta ingurgitato da Paolo. Fuori piove e Carlo Magno si è rifugiato sotto il divano. Spunta sempre fuori la coda: ha il vizio di dimenticarsela in giro. Tea, sicura nella sua felinità, ha il muso appiccicato alla finestra e osserva le gocce di pioggia che disegnano lucidi sentieri sul vetro. Chissà cosa pensa, chissà cosa desidera.

Io osservo mio marito, la coda del mio gatto e i calzettoni della nonna che mi coprono i piedi infreddoliti. Devo evitare assolutamente di prendere freddo ai piedi, altrimenti poi, di notte, mi tocca alzarmi almeno tre volte per andare a svuotare la vescica.

“Oh Signore, ma perché ci hai dotato di un serbatoio così piccolo?”
Paolo ride della mia sofferta esternazione e poi torna a concentrarsi sul dolce al cioccolato. Gli basta poco per essere felice. Una felicità genuina e sana, una felicità di cui vorrei avere il segreto.

Se mi osservo dall’esterno anche a me non manca nulla per essere appagata: un buon lavoro, una casa, un marito, una salute con qualche acciacco, ma fortunatamente nulla di grave, il piacere delle piccole cose, la gioia della curiosità, l’affetto di pochi, ma buoni, una viva intelligenza e la fortuna di abitare dove la felicità è un diritto e non un miraggio irraggiungibile. E allora cosa mi manca?

Mi accoccolo tra le coperte ancora fredde, raggomitolandomi in un bozzolo di stoffa, pensieri e desideri che mi accompagnerà nel sonno. Lo spazio è ridotto. Un marito occupa da solo già più della metà del materasso che gli spetterebbe di diritto e i due gatti si allungano fino all’inverosimile.

Mi ritrovo appallottolata in uno spazio piccolo e caldo e la giornata trascorsa mi torna alla mente. Risento la fresca aria del mattino che mi sfiora le guance, la pronuncia arricciata del Francese che mi accarezza le orecchie, il profumo della colazione che mi solletica le narici.
Rivedo lo spicchio di lago che brilla sotto il sole pomeridiano e sembra sorridermi dietro alla ringhiera del balcone, il sorriso di mio marito quando rientra dal lavoro, la coda pelosa di Carlo Magno che sbuca dal divano.

Ripercorro mentalmente le nuove cose imparate: la ricetta per la torta al cioccolato, il significato della parola solipsistico, le regole base per scrivere un noir, la superficie del Canada.

Risento, rivedo, ripercorro. D’un tratto spalanco gli occhi nel buio della camera. Il russare ritmico al mio fianco mi ricorda che non sono sola. È un’altra cosa da aggiungere alla lista della giornata. Un bagliore si accende nel buio di me stessa. La camera resta nell’oscurità, ma io ho ritrovato una debole luce. Ho capito finalmente.

Da domani la battaglia sarà un po’ più facile. Da domani potrò concentrarmi sulle sensazioni, le emozioni e le piccole gioie della quotidianità. I grandi sogni e gli obiettivi difficili sono il motore per vivere, ma la spinta per alzarsi la mattina è data da cose molto più piccole, dalle cose che, inconsapevolmente fino ad oggi, si vivono giorno per giorno.

L’importante è saperle cogliere.
L’importante è usarle come ingredienti per la propria ricetta della felicità.
Con un bacio sfioro la fronte di Paolo che continua a dormire beato.
Sta notte, per la prima volta dopo molto tempo, lo seguirò in un sonno felice.

Racconto partecipante al concorso letterario “Premio Marudo 2018“.
Per continuare a leggere storie dell’anima prova a curiosare “Le statistiche del trenino
.

Una lettura di BluttaBlatta
Musiche incompetech.com: “Amazing Grace 2011” di Kevin MacLeod

Chi ha scritto questo racconto

BluttaBlatta

"Un marito.
Due gatti.
Tanti libri.
Mille parole.
"
Martina Ravioli